Nessuna transizione ecologica sarà possibile, se non cambiamo modello economico e di vita.
Ma siamo o non siamo nell’era della transizione ecologica? E’ ormai noto a tutti da almeno 2 decenni che l’unica possibilità che avevamo (e che non è affatto detto che possa risultare efficace ancora oggi) per frenare il cambiamento climatico, è fare completamente a meno dei carburanti fossili (carbone, petrolio e suoi derivati). La negligenza del sistema politico e spesso la sua collusione con i potentati economici, ha fatto passare più o meno inascoltati anni di allarmi lanciati dagli scienziati di tutto il mondo. E ora, per far fronte alla crisi energetica, ci troviamo all’inizio di quest’autunno, a mendicare gas e a riaccendere centrali a carbone (la fonte energetica più impattante), con tutte le conseguenze nefaste sul clima e sulle persone che questo comporta.
![Minimalismo VS Globalizzazione](https://www.bioesostenibile.it/wp-content/uploads/2023/05/minimalismo1.jpg)
Le alternative per produrre energia pulita e utilizzarla senza sprechi e consapevolmente, di certo non mancano. E la tecnologia le rende sempre più efficaci ed economiche.
Tuttavia, a mio parere, si è perso molto tempo a favore di chi ha speculato e realizzato enormi profitti con le fonti fossili e ora ci troviamo in affanno a perseguire un obiettivo di decarbonizzazione sempre più complesso e sempre più soggetto alla fragilità e ai ricatti geopolitici (Russia docet), di questa interdipendenza globalizzata delle fonti energetiche. Non credo che la globalizzazione, che già con la crisi Covid del 2020/21, aveva mostrato tutti i suoi limiti a favore delle filiere di produzione e consumo più corte ed efficienti, sia l’unica strada per il benessere socio economico e ambientale per il Pianeta. La dottrina neo-liberista, ha prodotto un sistema economico con enormi e sempre più ampie diseguaglianze. Un mondo “bipolare”: da un lato un Nord sempre più anziano, in crisi di natalità, ricco, consumista e sprecone, sempre più spaventato e arroccato e dall’altro un Sud giovane, povero, malnutrito e in pieno boom demografico.
Sembra assurdo, ma l’unica cosa che unisce questi due poli, così distanti fra loro, è il modello di vita e di consumo che la globalizzazione, in mano alle grandi società multinazionali, pubblicizza e propone identico, in tutto il pianeta: il modello della crescita economica infinita.
Qui il paradosso esplode in tutta la sua evidenza.
La nostra Terra, è un pianeta meraviglioso e ricchissimo di risorse, messe a disposizione degli esseri che lo abitano, ma queste risorse, sono tutt’altro che infinite!
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Come può reggere un sistema economico basato sulla crescita infinita, in un mondo con risorse finite? Come può reggere una società degli umani, dove il 20% della popolazione del pianeta, consuma l’80% delle risorse disponibili? Dove oltre 1 miliardo di esseri umani è sotto la soglia di povertà, è malnutrito e muore di malattie banali, spesso dovute alla mancanza di cibo, acqua e igiene di base?
La risposta della Globalizzazione, è quella di portare lavoro (spesso sottopagato e senza diritti) e aziende (spesso inquinanti e pericolose) nei paesi in via di sviluppo, per far sì che, nel tempo, anche loro possano avvicinarsi al nostro modello di società e di consumo. Ma se anche questo progetto si realizzasse, il nostro pianeta non potrebbe assolutamente sostenere l’impatto di altri 2, 3, o 4 miliardi di persone con il nostro stile di vita!
La notizia scomoda è che gli spreconi siamo noi: noi del nord del mondo.
Infatti noi europei, abbiamo (grossolanamente) un’impronta ecologica di circa 4, un americano di circa 6 e un centrafricano di circa 0,7. Questo significa che a noi europei servirebbero le risorse di 4 pianeti uguali alla Terra (agli americani 6), per vivere come stiamo vivendo. Una Terra, basta solo agli abitanti del centro Africa!
Allora si potrebbe puntare a una rottura del modello economico, sociale ed energetico della globalizzazione.
Pur mantenendo saldi tutti i cardini della cooperazione internazionale, in particolare sui temi globali, come il cambiamento climatico, si può (e si deve) tornare a sistemi di produzione a filiera più corta. Questi, per loro natura, valorizzano le specificità locali (come i distretti produttivi) e mantengono lavoro, professionalità e ricchezza sul territorio. E’ essenziale anche rompere la dipendenza dalle fonti energetiche fossili, superando i ricatti geopolitici e sviluppando una sorta di autarchia energetica, basata sulla produzione (e anche sulla microproduzione) e sullo sviluppo di reti di scambio e consumo di energia da fonti pulite. Inoltre ricercare con determinazione, in ogni attività economica, una vera efficienza che azzeri ogni possibile spreco. Fondamentale sarà anche ridistribuire, a livello globale, risorse e ricchezze risparmiate, per promuovere una vita più dignitosa a tutti gli abitanti della Terra.
Infine l’aspetto più importante e difficile: cambiare il nostro modello di vita.
Non è vero che maggiori e spesso inutili consumi, ci rendano più felici. Non è vera l’equazione: aumento del PIL = aumento del benessere! Per decenni ci hanno instillato questo sentimento di scarsità e di carenza, che ci porta a essere sempre insoddisfatti ed inappagati. Ma guardiamo intorno a noi; abbiamo armadi straripanti, tre auto a famiglia, smartphone, computer, abbonamenti e mille altre cose per “distrarci e rilassarci”, ma non siamo né sereni né felici. E tutto il tempo “risparmiato”, grazie alle tecnologie, diventa subito dopo tempo “buttato” con gli occhi e la testa dentro altre tecnologie.
![Minimalismo VS Globalizzazione](https://www.bioesostenibile.it/wp-content/uploads/2023/05/minimalism.jpg)
Forse ci salverà un approccio minimalista.
Svuotiamo gli armadi e regaliamo ciò che non useremo mai più. Togliamo i nostri occhi e la nostra mente dalla schiavitù dei social e delle serie e ricominciamo a leggere e a far volare la nostra fantasia e i nostri sogni.
Dedichiamoci con attenzione e amore ad autoprodurre qualcosa per noi e i nostri cari e con loro condividiamo il tempo e l’ascolto.
Decidiamo che la nostra vita non è resa più bella dalle cose che possediamo e più frustrante da quelle che non possiamo permetterci di possedere, ma dalla qualità delle relazioni che abbiamo.
Dall’amore per i nostri figli, dalla solidarietà e dalla cura che abbiamo per ciò che ci circonda e infine dalla nostra capacità di non smettere mai di crescere e di diventare persone migliori.