Fino ad oggi, il fast fashion è sempre stato accusato di essere fonte di gravi danni in termini di sostenibilità sociale e, conseguentemente, di gravi danni ecologici.
Ma la società moderna, minata da grosse problematiche economiche, ma soprattutto vittima di un’involuzione culturale dilagante, si sta facendo affascinare e fagocitare dal nuovo fenomeno dell'”Ultra Fast Fashion”.
Le giovani generazioni hanno sempre più tendenza all’acquisto, i portafogli sono sempre più leggeri, la cultura sostenibile è solo un bel concetto teorico. Il risultato della sommatoria di questi fattori non poteva far altro che far esplodere quello che già si respirava nel settore tessile abbigliamento.
Nuovi brand (il più “colossale” è asiatico) stanno proponendo abbigliamento “usa e getta”, sempre più economico e sempre meno etico.
La società moderna sta alimentando imperi ormai miliardari che sfruttano la mano d’opera, costringendola a lavorare in condizioni umilianti, malsane e dannose. Piccoli laboratori tessili dove centinaia di persone sono ammassate in locali angusti, per almeno 12 ore al giorno, producendo articoli per la massa occidentale (e non solo). La sicurezza sul lavoro, in questi luoghi, non è certo la priorità. Normalmente si ha un solo giorno libero al mese.
Ma come funziona l'”Ultra Fast Fashion”?
E’ molto semplice. Si producono piccoli lotti d’abbigliamento e si propongono alla clientela, tramite test commerciali. Se i prodotti funzionano, si procede con la produzione industriale, altrimenti, via con un altro lotto da cento pezzi. E così si prosegue a ritmi incessanti e continui, senza soluzione di continuità. Niente designer, ma software che, grazie ai loro algoritmi complessi, valutano gli stili e i gusti del pubblico.
Quello che non si vende? Semplice: in discarica!
Non si può perdere tempo.
Migliaia di articoli vengono aggiunti ogni giorno alla proposta commerciale per gli “affamati” del web.
L’elemento che colpisce (e che potrebbe diventare oggetto di studio sociologico) è che, la maggior parte di questi nuovi colossi propongono i loro articoli alla stessa generazione di persone che, scende poi in piazza per protestare contro i cambiamenti climatici.
Ma allora, cosa si può fare per fermare questo nuovo fenomeno che sembra inarrestabile? Non vedo altra soluzione se non il tentativo di aumentare la cultura della sostenibilità del tessile nelle nuove generazioni. Ma non bastano le parole.
E’ fondamentale mostrare quello che realmente succede in quei piccoli laboratori; come vengono trattati i loro coetanei in altre parti del mondo; far capire cosa succede realmente nelle discariche; sottolineare che questo abbigliamento si trasforma in elementi microscopici che stanno devastando gli ecosistemi.